Annecchia, spezzatino, jammunciello, tracchie, locena, punta di natica, pettol’e spalla, nervetti, fianchetto e corazza: questi i tagli di carne che chiede Donna Rosa (Sophia Loren) alle macellaie, nella famosa scena del film “Sabato, domenica e lunedì” per preparare, secondo un preciso rituale che ha inizio il sabato, ‘o rraù, il ragu della tradizione, immancabile sulla tavola domenicale dei napoletani, a cominciare dalla colazione, fatta col “cuzzetiello” di pane “c’a sarza”, la salsa, dopo che ci si è stati svegliati col profumo del ragù che pippèa (sobbolle) che si diffonde in casa.
Pietanza amatissima, alla quale è stata dedicata “Ragù7su7” la prima settimana celebrativa dal 26 febbraio al 4 marzo scorso, organizzata dal giornalista enogastronomico Luciano Pignataro in collaborazione con la d.ssa nutrizionista Francesca Marino, ideatrice e fondatrice del sito My Social Recipe, durante le quale 40, tra ristoranti e trattorie napoletane lo hanno avuto in carta e proposto ai loro clienti, al ragù napoletano è stato addirittura dedicato un simposio, tenutosi nell’aula magna di Eccellenze Campane il 2 marzo scorso."Ragù Symposium”, un itinerario tra storia e tradizioni del ragù in Campania, moderato da Giustino Catalano e Marco Contursi, con l’intervento, tra gli altri, del macellaio Sabatino Cillo e di Peppe Maiorano, dell’Osteria “La Chitarra” di Napoli.
Durante il percorso sono state assaggiate ed evidenziate le caratteristiche delle diverse versioni di ragù, comparando ad altre versioni la più classica, la cui cottura deve essere lunghissima e lenta, anche fino a 12 ore, ma non tutte le preparazioni sono spinte cosi all’estremo.
E classica quella presentata da Peppe Maiorano fatta anche con la braciola (di lòcena) il cui ripieno è costituito da formaggio , prezzemolo, pinoli e uva passa, quest’ultima non a tutti gradita: ma la braciola si fa cosi, e se “nun te piacien’e pass e i pignuol, nun t’ a mangi”, dice Peppe!
Gustoso il ragù di capra proposto da Cillo, con carni di capra più giovane rispetto a quello che si faceva una volta, insolito rispetto alla versione classica napoletana il ragù con salsiccia rossa di Castelpoto e l’aggiunta di uova, e quello con allodole, da vecchie usanze contadine in uso ad Arpaia (BN) di quanti non potevano permettersi i tagli di carne più corposi.
Da Calitri (in alta Irpinia ai confini con la Basilicata), il “cuta cuta”, un ragù molto semplice ma non meno interessante con carne di pollo cosi definito dal verso che si fa per richiamare i polli al momento del mangime.
Il simposio si è concluso con l’assaggio di ziti spezzati con ragù classico e gnocchi con il ragù di tracchie (puntine di maiale) entrambi di Sabatino Cillo.
Pietanza amatissima, alla quale è stata dedicata “Ragù7su7” la prima settimana celebrativa dal 26 febbraio al 4 marzo scorso, organizzata dal giornalista enogastronomico Luciano Pignataro in collaborazione con la d.ssa nutrizionista Francesca Marino, ideatrice e fondatrice del sito My Social Recipe, durante le quale 40, tra ristoranti e trattorie napoletane lo hanno avuto in carta e proposto ai loro clienti, al ragù napoletano è stato addirittura dedicato un simposio, tenutosi nell’aula magna di Eccellenze Campane il 2 marzo scorso."Ragù Symposium”, un itinerario tra storia e tradizioni del ragù in Campania, moderato da Giustino Catalano e Marco Contursi, con l’intervento, tra gli altri, del macellaio Sabatino Cillo e di Peppe Maiorano, dell’Osteria “La Chitarra” di Napoli.
Durante il percorso sono state assaggiate ed evidenziate le caratteristiche delle diverse versioni di ragù, comparando ad altre versioni la più classica, la cui cottura deve essere lunghissima e lenta, anche fino a 12 ore, ma non tutte le preparazioni sono spinte cosi all’estremo.
E classica quella presentata da Peppe Maiorano fatta anche con la braciola (di lòcena) il cui ripieno è costituito da formaggio , prezzemolo, pinoli e uva passa, quest’ultima non a tutti gradita: ma la braciola si fa cosi, e se “nun te piacien’e pass e i pignuol, nun t’ a mangi”, dice Peppe!
Gustoso il ragù di capra proposto da Cillo, con carni di capra più giovane rispetto a quello che si faceva una volta, insolito rispetto alla versione classica napoletana il ragù con salsiccia rossa di Castelpoto e l’aggiunta di uova, e quello con allodole, da vecchie usanze contadine in uso ad Arpaia (BN) di quanti non potevano permettersi i tagli di carne più corposi.
Da Calitri (in alta Irpinia ai confini con la Basilicata), il “cuta cuta”, un ragù molto semplice ma non meno interessante con carne di pollo cosi definito dal verso che si fa per richiamare i polli al momento del mangime.
Il simposio si è concluso con l’assaggio di ziti spezzati con ragù classico e gnocchi con il ragù di tracchie (puntine di maiale) entrambi di Sabatino Cillo.